Radiazioni ionizzanti

Le sorgenti di radiazioni ionizzanti possono essere suddivise in due principali categorie:

  • sorgenti naturali, a cui tutti gli esseri viventi sono da sempre costantemente esposti;
  • sorgenti artificiali, di origine antropica.

Tra le sorgenti di origine naturale il radon, in assenza di eventi incidentali, rappresenta la principale fonte di esposizione alla radioattività per la popolazione (circa 60%). L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha valutato la cancerogenicità del radon fin dal 1988 e lo ha inserito nel Gruppo 1: “agenti in grado di indurre il tumore polmonare". Stime consolidate da decenni a livello mondiale attribuiscono al radon la seconda causa di tumore polmonare dopo il fumo di tabacco con un rischio proporzionale alla concentrazione. In Italia si stima che, su circa 30.000 casi di tumore polmonare che si registrano ogni anno, oltre 3.000 siano da attribuire al radon, la maggior parte dei quali tra fumatori ed ex-fumatori.
Il quadro normativo nazionale vigente non prende in considerazione la problematica connessa all’esposizione al radon nelle abitazioni. Al riguardo La Direttiva 2013/59/Euratom che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, che deve essere ancora recepita nella normativa italiana, prevede specifici adempimenti anche per la protezione dall’esposizione al radon negli ambienti residenziali:  ciascuno Stato Membro dell’Unione Europea deve stabilire dei livelli di riferimento per la concentrazione media annua di radon, sia per le abitazioni che per i luoghi di lavoro, che non siano superiori a 300 Bq/m3.
In Emilia-Romagna, i dati attualmente disponibili (e ancora validi per le caratteristiche del fenomeno) sono ricavati da tre indagini realizzate da Arpae:

  1. l’indagine nazionale radon indoor promossa dall’APAT (oggi ISIN) e dall’ISS, partita, nella nostra regione, negli anni 1989-1990 su un campione rappresentativo di 371 abitazioni distribuite in 15 comuni della regione;
  2. l’indagine regionale nelle scuole materne e asili nido, promossa in collaborazione con l’Assessorato sanità regionale e realizzata negli anni 1993-1995 in 604 strutture scolastiche ubicate in 239 comuni della regione;
  3. la campagna, promossa sempre dall’Assessorato sanità regionale, in 135 abitazioni individuate in corrispondenza di particolari aree territoriali (punti di emanazione gassosa/faglie affioranti), conclusasi nel settembre 2011.

La campagna nazionale condotta in Emilia-Romagna ha evidenziato una concentrazione (43 Bq/m3) medio-bassa rispetto alla media nazionale (70 Bq/m3). Tali valori sono stati sostanzialmente confermati dalla successiva indagine promossa nelle scuole materne e asili nido (49 Bq/m3); in tale indagine le concentrazioni più elevate sono state rilevate nelle province di Modena, Reggio Emilia e Forlì-Cesena. I dati ottenuti dall’indagine che ha visto coinvolte abitazioni poste nella zona appenninica, in prossimità di emissioni spontanee di gas metano più significative e faglie affioranti attive non sono comparabili alle precedenti (90 Bq/m3), come peraltro era logico attendersi.

In Emilia-Romagna, al fine di progettare azioni atte all’individuazione delle zone a maggiore probabilità di alte concentrazioni di radon (mappature radon), a partire dal 2001 un gruppo di lavoro interdisciplinare, coordinato dall’Assessorato sanità, ha proceduto a una “lettura integrata” dei dati disponibili attraverso elaborazioni geostatistiche sulle misure di radon indoor, nonché su altre matrici oggetto di indagini, ovvero acque di pozzo, rocce, attività degasanti.

Tra le sorgenti di origine naturale occorre considerare altresì quelle derivanti da particolari attività lavorative con uso/stoccaggio di materiali, o produzione di residui, contenenti radionuclidi naturali (Naturally Occurring Radioactive Material - NORM) che possono comportare un significativo aumento dell’esposizione della popolazione e dei lavoratori.  Per queste attività, quali ad esempio quelle che utilizzano minerali fosfatici, sabbie zirconifere, torio o terre rare, il DLgs 230/95 e s.m.i. assegna compiti e doveri agli esercenti. 

Le esposizioni dovute a sorgenti artificiali derivano da attività umane, quali ad esempio la produzione di energia nucleare o l’impiego di radioisotopi per uso medico (diagnostica e terapia), industriale e di ricerca; attualmente la diagnostica medica copre praticamente il 30% dell’esposizione della popolazione a radiazioni ionizzanti.
Il settore energetico nucleare, in Italia, ha avuto un arresto a seguito del risultato referendario del 1987 e tutte le centrali nucleari italiane, compresa quella di Caorso, sono in fase di dismissione.
Conseguentemente, il rischio di contaminazione ambientale derivante dall’uso del nucleare è pressochè esclusivamente collegabile ad eventuali incidenti.  L´attività sistematica di monitoraggio della radioattività ambientale in Emilia-Romagna, avviata a partire dal 1982, ha consentito di monitorare la contaminazione radioattiva di origine antropica dell´intero territorio, permettendo di seguire l'evoluzione di eventi incidentali verificatisi (Chernobyl, fonderia Rovello Lambro, Fukushima) e di effettuare stime di dose alla popolazione emiliano-romagnola. Nella maggior parte dei campioni la radioattività artificiale (in particolare il cesio 137 e lo stronzio 90) risulta inferiore a quanto misurabile e comunque comparabile con la contaminazione ambientale dovuta all’incidente di Chernobyl e ai test nucleari in atmosfera degli anni ’60.

Un’attenzione particolare meritano, comunque, tutte le attuali e future attività di “decommissioning” degli impianti nucleari italiani. Il processo di disattivazione della centrale nucleare di Caorso e la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti, ovvero lo smantellamento di tutte le parti nucleari e la restituzione del sito esente da vincoli radiologici, programmato fra il 2028 e il 2032, è costantemente monitorato dagli Enti/Istituzioni coinvolte anche a livello regionale (Regione, Provincia, Comuni, Arpae); sono stati infatti sottoscritti specifici Protocolli d’intesa (2008) rispettivamente tra la Provincia di Piacenza, il Comune di Caorso e Arpa Emilia-Romagna e tra Apat (oggi ISIN) e Arpa Emilia-Romagna (2005). 

L’impiego di sorgenti radioattive sigillate in ambito medico, industriale e di ricerca necessita l’adozione di misure atte a garantirne l’uso in condizioni di sicurezza e la corretta dismissione; il DLgs 52/07, in attuazione della Direttiva comunitaria 2003/122/EURATOM, è infatti finalizzato a rafforzare il controllo sulle sorgenti sigillate (sostanze radioattive racchiuse in un involucro inattivo) ad alta attività e sulle sorgenti orfane (abbandonate, smarrite o prive di controllo e che pertanto potrebbero, ad esempio, condurre a fenomeni di contaminazione ambientale qualora immesse casualmente o illegalmente in rottami metallici sottoposti a fusione). Per le sorgenti non sigillate è, invece, necessaria una corretta gestione dei rifiuti radioattivi, sia solidi che liquidi (ad esempio gli scarichi ospedalieri controllati, le deiezioni dei pazienti sottoposti a indagine con sostanze radioattive etc.). Anche in Emilia-Romagna sono ubicati depositi temporanei di rifiuti radioattivi, sia solidi che liquidi, nei quali sono stoccati i rifiuti prodotti dagli impianti nucleari e quelli gestiti dalle ditte che effettuano servizio di raccolta.

ultima modifica 2021-11-21T22:03:18+02:00